Sei il leader giusto per creare generatività?

Siamo entrati in una età dell’incertezza cui la modernità non ci aveva abituati, assicurandoci che ormai era tutto “sotto controllo” e, in particolare per l’organizzazione di impresa, gioiello di razionalità moderna applicata e produttivamente operativa. In buona sostanza confrontarsi con l’incertezza, ovvero cercando agilità e apertura “mentale” (ma anche motivazionale, occorrerebbe ricordare), attitudine al cambiamento e tolleranza della complessità ha rilanciato potentemente il classico tema della “creatività”. Tema in cui oggi rientrano capacità di risolvere problemi complessi, di avere un pensiero critico (autocritico), di avere gusto per il problem solving: aree di cui ancora sappiamo poco a livello di ricerca accademica, o comunque non abbastanza. Questo non toglie che si moltiplichino i sedicenti esperti, magari anche in “neuroscienze”, che propongono le più svariate soluzioni, ma anche qui occorrerebbe uscire da un mito moderno, secondo cui queste capacità (skills) sono figlie di “intelligenza di individui particolarmente dotati”. Le ricerche di psicologia sociale e cognitiva indicano chiaramente che il “pensiero produttivo” nasce da gruppi di lavoro di persone normali che hanno un buon rapporto interpersonale, un gruppo in cui si crea un clima di “safety” in cui ciascuno si sente parte apprezzata, riconosciuto come persona e che collabora a un obiettivo condiviso e rilevante anche dal proprio punto di vista.

Naturalmente un clima di questo genere non nasce per caso e rimanda al tema “caldo” della leadership.

Ricerche di McKinsey, di Deloitte e di Gallup -per esempio- confermano quanto già noto a livello accademico e cioè che questo “clima” dipende dalla leadership. Ecco si scopre il quinto vettore delle soft skills emergenti: una leadership orientata a far crescere le persone, a creare clima, a diffondere progetti, scopi e obiettivi in una visione di scenario motivante e trasparente. Si fa presto a dire! Ma difficile educare persone allevate nel mito del leader-capo superuomo a riconvertirsi a fare il buon samaritano o il maestro buddista. Certo, i “coach” realizzano buoni guadagni offrendo supporto ai manager che decidono di crescere in questa direzione. Ma, ancora una volta: non è sufficiente lavorare su propri presunti difetti o potenzialità individuali. Necessario, ma non sufficiente. Per entrare in una prospettiva generativa e in una leadership pedagogica occorre una forte motivazione valoriale radicata in una diversa visione del senso dell’impresa e del lavoro in cui si crede, tanto da avere il gusto di far crescere le cose quanto quello di far crescere sé stessi.

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